Ricordo di mare

Negli anni Ottanta, tutte le famiglie nei nostri paesi posti nell’entroterra calabrese solevano affittare per periodi più o meno lunghi delle case sulla costa. La mia famiglia non faceva eccezione.

La mattina ci svegliavamo presto. Avevamo una casetta che affacciava sul mare. Faceva caldo, caldissimo. Faticavo ad addormentarmi la notte. Ero un bambino di montagna. Si andava al mare perché faceva bene, respiravamo lo iodio, così si diceva. Io pensavo che fosse l’odore di acqua salmastra, e mi piaceva. Poi c’era il profumo dei giornali appena arrivati in edicola. Mio padre ogni tanto mi leggeva degli articoli, più che altro di cronaca. Io invece mi dedicavo a quegli sportivi. Al calcio mercato. Al Milan.

Ero veramente appassionato e seguivo con attenzione sperando che anche quell’anno lo scudetto sarebbe stato nostro. I giornalisti erano bravissimi ad intercettare i miei sogni. Da piccolo sognatore coi miei amici poi replicavamo le gesta di quei nostri miti. A tutte le ore. Sul bagnasciuga quando la sabbia bolliva, direttamente sulla spiaggia quando il caldo desertico la faceva da padrone nelle ore centrali della giornata. Con mio padre facevamo delle piccole porte con le canne o con le pantofole da spiaggia, e lui ogni tanto mi faceva vincere.

Io ero un bambino molto timido e introverso. Per questo ci mettevo molto a legare con gli altri piccoli pulcini che brulicavano sul mare, in quel piccolo boom di benessere degli anni ’80. La mamma sempre buona e paziente preparava splendidi piatti (le melanzane al forno era il mio piatto preferito). Io mi sono sempre chiesto come facesse, a badare a tutti noi piccoli scriccioli. Poi c’erano anche i cugini e insieme si giocava tra i flutti col sole che ardeva e accendeva la nostra pelle così come la nostra fantasia

Un giorno erano arrivate a riva tante piccole meduse bianche e azzurrognole e io ne ero rimasto punto, così mamma ci mise una pomata e mi ci soffiò sopra dove mi bruciava tanto. Io sono certo che non fu la pomata a guarire tutto il mio piccolo tormento, ma l’amore soave del suo soffio.

Poi c’erano le serate tropicali. A volte una leggera brezza leniva quella immancabile sete. Si cenava tutti insieme. Noi piccoli. I grandi e persino le nonne. Poi si andava al cinema. Io ero pazzo per il cinema. Vedevo quelle immagini misteriose proiettate su teli infiniti e sognavo veramente di vivere in quelle storie fantastiche e avventurose. I film che preferivo erano quelli di Indiana Jones e di avventura, perché anch’io come tutti i bambini degli anni 90 sognavo di fare l’archeologo o l’astronauta.

Poi quando tornavamo a casa esausti, mia madre mi raccontava delle fiabe. Io ero insaziabile. Ne volevo sempre di più. Era impossibile prendere sonno, perché di fatto stavo già sognando. Lei poverina invece stanca della giornata caldissima e delle mille incombenze a cui badare, si addormentava, così ad un tratto sentivo delle interruzioni, io mi lamentavo e lei procedeva, magari non dallo stesso punto, fin quando eravamo tutti felici e contenti. E lo eravamo davvero.

Quanto mi mancano quelle sere di estate tropicale, quando i miei sensi così nuovi coglievano tutto, anche il profumo di un fiore proveniente dal deserto…

Il mio gatto mi ha detto

<<Davanti a un innocente mi arrendo subito e mi giudico pesantemente. I bambini, gli animali, gli sguardi con cui ti fissano certi cani, l’estrema modestia, che certe volte ravviso nei desideri di gente umile, hanno il potere di turbarmi.>> (F. Fellini)

E’ davvero così. Caro maestro Fellini, non si può non rimanere profondamente turbati, quasi imbarazzati, di fronte all’estrema innocenza, all’estrema mancanza di sovrastrutture culturali, in poche parole, alla coincidenza perfetta tra ciò che ci appare e quello che si è.

Insomma è l’esatto opposto di quella ipocrisia tanto diffusa dell’uomo di oggi, di quella cattiva coscienza di tanta gente, che allude cause nobilissime dietro comportamenti, dietro sguardi, se non maligni, del tutto assenti, distaccati, indifferenti.

Il gelo che si respira da certe persone, la loro totale mancanza di empatia, ben celata da argomentazioni, per quanto banali, apparentemente ragionevoli, ormai mi gelano il sangue e mi fanno credere di non essere di fronte a persone reali, ma a proiezioni, come quelle che guardiamo al cinema o su uno schermo di un qualsiasi dispositivo elettronico.

Maschere di maschere insomma, al cui interno probabilmente non c’è niente se non un nucleo sadico, ostile, indifferente, gelido, addirittura necrofilo. Io di fronte a questo tipo di uomo, oggi così tanto di moda, soprattutto tra le fila dei ceti istruiti, provo orrore, perché mi puzza di morte, una sensazione che può capire solo chi la morte vera l’ha vista, e sa di cosa si tratti (qualcosa di definitivo, di implacabile, di fronte alla quale la sconfitta è irreversibile, soprattutto la nostra stupida concezione della vita, fondata sulla rimozione, in ogni istante, mediante una distrazione, anche indotta ed eterodiretta, per tenere insieme un sistema completamente ipocrita, dalla realtà).

Per questo quando la mia gatta mi guarda, nel modo suo, senza nessun filtro, fisso, implacabile, definitivo, reale, rimango turbato. Perché non sono più abituato al soffio pieno e totale di chi vive davvero, ed è più reale di tanta gente, che vive come in un sogno, anzi, peggio! Perché almeno il sogno è una proiezione autentica dei nostri strati psichici profondi, mentre la vita consapevole di molta gente è esclusivamente finzione, nei confronti degli altri, ma anche, e soprattutto, nei confronti di sé stessi!!!