Breve considerazione sulla musica dei The Cure

E’ straordinario come il gelo dei The Cure riesca in poche note a traghettareci nelle lande oscure del nostro io più profondo. Non credo alla musica allegra e spensierata e nemmeno a quella impegnata. La musica è qualcosa che deve trascendere la misera banalità del presente o la superficiale allegria. Per questo Beethoven scrisse alla Luna e non al sole. La luce distrugge la profondità e appiattisce le esistenze. Fa sembrare tutto regolare e piano, una bidimensionalità che solo la musica notturna riesce a disintegrare con le proprie trame oscure.

Non a caso dei generi teatrali il superiorie è la tragedia, perchè ci riallaccia alla nostra vera essenza, il legame con una realtà noumenica che si compone di forze al di là del bene e del male. Dionisio era un Dio oscuro, le feste in suo onore si celebravano la notte. Era l’ombra che si contrapponeva alla luce portata da Apollo. Ma ciò che si vede il giorno è solo una copia sbiadita della vita. Una bella rappresentazione certo per le anime semplici, ma un ostacolo per chi è intento a rompere il velo di Maya, per conoscere il terribile volto dell’esistenza. Così oscura, così tetra, ma terribilmente forte e vera, come questa musica dei The Cure.

I The Cure dell’82 erano un gruppo mostruoso. Di fatto si sono inventati uno stile, un modo di fare musica che prima non esisteva affatto se non nei Joy Division, con cui crearono il genere dark, una sorta di deviazione del post punk, una corrente musicale che aveva la pretesa di fare arte e non solo intrattenimento. In questo i primi the Cure sono stati sicuramente tra i precursori. I loro testi decadenti, le trame musicali ossessive e tragiche entrano nell’ascoltatore e lo ribaltano in realtà sommerse di cui non si sospettava nemmeno l’esistenza.

In particolare mi preme ricordare Siamese Twins (tratta dell’album Pornography), una ballata straordinaria che come in una danza macabra narra di un amore morboso e totale destinato tuttavia ad essere sconfitto. Infatti esiste solo il nulla e la dissoluzione di ogni cosa autentica. In questo quadro l’amore vero non può che essere un evento straordinario che compare come una saetta nella notte, illuminando il buio dell’esistenza, ma incapace di cristallizzarsi in qualcosa di duraturo.

The Cure Siamese Twins live
Robert Smith

Guerra

Fumanti macerie

disegnano sinistre ombre

sulla città bruciata

dalle bombe.

Nessuno è rimasto

nei palazzi sventrati.

Solo i corvi, messaggeri di morte,

volano tra volti senza occhi

rubando ciò che resta

dei sogni e delle speranze

di un’epoca passata.

E se non c’è più nessun vivo

per scrivere l’epitaffio dei morti:

essi lo faranno da sé

(con ossa e sangue raggrumato).

Dialogo sulla vita

Era sera, e il cielo non prometteva nulla di buono. In lontananza si sentiva un brontolio continuo e le folgori scattavano molteplici irradiandosi nel cielo. Io mi sentivo del tutto distaccato rispetto a quanto mi stava intorno. Ero rimasto solo nella foresta. Tecnicamente mi ero perso, ma era stata più una scelta che un fatto sfortunato. Ero padrone di quel silenzio che tanto avevo agognato nella vita. Un silenzio innanzitutto interiore. Mi sentivo per la prima volta dopo anni in pace con me stesso. Certo le condizioni esterne erano pessime. Avevo freddo e si avvicinava un violento temporale, ma quell’atmosfera mi elettrizzava più che spaventarmi. Allora riandai con la mente ai giorni sereni della mia infanzia. Pensai a mia madre che mi accudiva da bambino, alle uscite al cinema con mio padre, agli scherzi che ci facevamo con mia sorella. Alle nonne e ai nonni. Sembrava un idillio perfetto, tranne per il fatto che fosse frutto del passato, e che rimaneva solo nei miei ricordi. In quel momento udii uno sparo non troppo lontano da me. E dopo un po’ udii un uomo gridare di dolore. Capii che era successo un misfatto e mi nascosi dentro la cavità di un albero. Avevo paura, ma non era la solita paura esistenziale o ipocondriaca che mi accompagnava sempre, era più un istinto di sopravvivenza, che mi diceva di non farmi vedere per salvare quello che rimaneva della mia vita. Sicuramente c’era stato un misfatto. D’altronde eravamo in tempi difficili. Lo Stato era caduto. Si viveva in una sorta di anarchia dove la faceva da padrone chi era più brutale e armato.

***

Sembrava che tutto complottasse contro di lui. Indubbiamente non era mai stato fortunato. Già a scuola aveva sempre avuto un pessimo rapporto con i suoi compagni che per la sua gracilità e sgraziatezza lo aveva sempre preso di mira con scherzi di cattivo gusto e denigrazioni gratuite. Poi in amore non si può dire che fosse stato fortunato. Aveva avuto qualche ragazza ma non si era mai davvero innamorato anche perché il suo modo di vivere l’amore era troppo mentale. Spesso si rendeva conto di essere innamorato quando era già tutto finito, per questo non di rado viveva la sensazione di occasioni perse, e questo naturalmente non faceva altro che farlo vivere guardando più al passato che al presente o al futuro. Insomma, era veramente una frana. Tutto ciò prima, quando il mondo andava avanti normalmente. Poi c’era stata la guerra e naturalmente tutti i problemi precedenti erano stati soppiantati dalla necessità di sopravvivere in un contesto del tutto mutato. Ora vigeva semplicemente la legge del più forte, non c’erano più diritti, o chi controllasse l’ordine. Si erano formate delle piccole tribù in lotta continua per accaparrarsi le scarse risorse. La tecnologia vista la penuria di energia elettrica e i danni gravissimi subiti dalle linee di comunicazione era praticamente inservibile. Restavano solo le riserve di cibo in scatola, mentre si provava a far ripartire l’agricoltura per non morire tutti di fame. Anche se la popolazione mondiale era passata dai 10 miliardi ad appena un miliardo in seguito allo scoppio di innumerevoli testate nucleari che avevano di fatto distrutto l’umanità.

Aveva camminato a lungo, fin quando si era presentata quell’occasione ghiotta. Sembrava incredibile che a pochi passi da lui la preda fosse così pronta per essere razziata. Era in cammino da giorni, e stava letteralmente morendo di fame. Purtroppo faceva parte delle tribù del nord come testimoniava la svastica col sole che aveva tatuata sul petto. Non sarebbe mai stato accettato da quelle parti e a ragione. Lui faceva parte di gruppi di cannibali, di gente spietata che attuavano questa oscura pratica senza troppi rimorsi, per motivi oggettivi se vogliamo. Infatti nei villaggi del nord c’era scarsità di cibo, ma non abbastanza forte per giustificare quell’efferatezza, quel superamento di tabù che si era consolidato nei secoli e nei millenni della civiltà umana.

Intanto J. stava nell’albero e non aveva nessuna intenzione di muoversi. Sentiva dei passi a distanza di pochi metri. Non si fidava di uscire allo scoperto e vedere di chi si trattasse. Certamente non erano i tempi migliori per andare a fraternizzare con uno sconosciuto. Sentiva il respiro dello sconosciuto e qualcosa di pesante che trascinava. Ad un certo punto vide il tentativo di accendere il fuoco che ben presto si tramutò in realtà. Cercò di mettersi nell’anfratto più oscuro e nascosto della cavità. Quello che vide lo sconcertò. Lo sconosciuto stava facendo a pezzi un essere umano con grande attenzione, dimostrando anche una certa abilità e stava iniziando a cuocere i pezzi partendo dal braccio dello sfortunato. Il terrore lo iniziò ad invadere.

<<Non posso farcela a stare qui nell’ombra di fronte a questo orrendo spettacolo. Inizio a sentire i crampi della nausea. Devo non guardare.>>  Ma un conto è volere e un conto è potere, così non potè farne a meno ed ebbe un mancamento. Quando riaprì gli occhi era davanti al fuoco con il cannibale che stava tranquillamente banchettando con quanto rimaneva dell’essere umano che aveva ucciso. J. Invece era legato ben saldo, come unica zona libera la bocca. Al che scoppiò in lacrime e urlò disperatamente. In maniera abbastanza assurda il cacciatore lo rassicurò, parlando la lingua di J..

<<Non devi preoccuparti, almeno per oggi sono sazio e poi non è detto che voglia farti a pezzi. Se mi indichi un posto dove potermi approvvigionare potrei anche risparmiarti. Io vengo da molto lontano. Purtroppo al nord dove vivo si trova sempre meno cibo e con la stagione che avanza sarà sempre peggio. Per questo mi sono spinto tanto a sud, inoltre qui avevo dei parenti e prima delle bombe ci passavo lunghi periodi in villeggiatura. Quindi ora calmati, tanto nessuno ti sentirà o verrà in tuo aiuto. Qui siete dei cagasotto. Non come il nostro popolo guerriero>>.

Intanto J. era terribilmente fuori di sé. Vedeva la propria fine vicina. Ma in qualche modo trovò la forza di parlare. <<Non mi fido di te. Sei un essere ignobile, né bestia né uomo e nemmeno scimmia. Come si può fare una cosa del genere, esiste la legge naturale anche se quella umana ormai è stata distrutta dalle bombe>>.

Il cacciatore di teste non perse la calma e un po’ come farebbe un genitore con un figlio birichino e un po’ sciocco rispose: <<La legge naturale a cui ti appelli tu è un’illusione, o meglio la legge naturale è la legge del più forte e del più assetato di vita. Per questo se non ti sai difendere o non colpisci per primo sei destinato a soccombere. Questo è stato vero da sempre, a parte quell’assurda parentesi chiamata civiltà. Oggi finalmente si vede l’essenza della vita. La morale e l’etica sono solo stati dei sotterfugi con i quali i deboli hanno imbrigliato i forti>>.

J. stava male più che per la stretta delle corde per quelle parole infauste e terrorizzanti. Ma cercò di far ragionare il barbaro: <<Ma l’uomo è dotato di ragione. Sa scegliere tra il bene e il male. E poi soprattutto l’uomo non vorrebbe mai fare del male ad un altro essere umano in quanto dotato di empatia. Non fare mai all’altro ciò che non vorresti fatto a te stesso diceva la legge di Dio. Ma anche se Dio non esistesse sembra una massima ragionevole. La legge del più forte a cui tu ti appelli è solo una costruzione culturale, non appartiene allo stato di natura dell’uomo, e anche se fosse così la cultura non può essere distinta dalla natura dell’uomo perché contribuisce a creare l’uomo stesso, che non è solo prodotto biologico ma anche e soprattutto culturale>>.

Il cacciatore ascoltò attentamente, sembrava molto attento tanto che dall’esterno sarebbe sembrato che gli avrebbe dato ragione, ma invece sterzò o storpiò ancora più forte il ragionamento precedente di J. <<Tu pensi che l’uomo debba rispondere a Dio o alla sua cultura. E hai perfettamente ragione. Anche io credo in Dio e alla mia cultura. Solo che il mio è un Dio di morte e anche la cultura mi dice di sopprimere i più deboli per sopravvivere io in quanto essere più forte. Come vedi entrambe le nostre posizioni sono giuste. Anzi no. La mia è più giusta perché in questo momento tu sei legato e io posso disporre completamente della tua vita. Non mi impietosirai se deciderò di farti a pezzi. La bontà è solo un’invenzione dei deboli. Ciò che conta è la forza. Ancor più oggi che lo Stato non esiste e la giustizia è un fatto prettamente personale. E poi che cosa hanno fatto gli stati se non cercare di distruggersi a vicenda per imporsi. Come vedi la vita è lotta del più forte contro il più debole…>>

Ma J. approfittò di quest’ultimo esempio per dare un colpo mortale alla posizione del cacciatore: <<Tu hai perfettamente ragione dal tuo punto di vista e forse hai ragione in assoluto. Ma dimentichi una cosa. A cosa ha portato la politica di potenza fra le nazioni. La distruzione dell’umanità. Il mondo sarebbe potuto essere un luogo meraviglioso se ci fossimo parlati invece di trucidarci a vicenda. Il risultato di tutto ciò è stato quello di tornare all’età della pietra. La fratellanza è l’unica condizione che può portare allo sviluppo dell’umanità dentro e fuori di noi. La ragione si è formata per migliorare le condizioni materiali e spirituali dell’uomo. Il resto è ideologia oscurantista che non può fare altro se seguita che portarci nell’abisso ancor più di quanto ci siamo già ora…>>.

Il cacciatore allora rispose dopo un attimo di sbandamento: <<Mi hai quasi convinto. Ma ciò non migliora la tua situazione. Disporrò di te come e quando vorrò… E poi vuoi che qualcuno ti creda? Potrebbe essere anche possibile in via di principio, ma ciò non toglie che tu sarai fatto a pezzi. E con te, le tue ragioni…>>.

Intanto iniziò a piovere. Gocce grandi, polverose, che impastavano il viso di J. colmo di lacrime e sale…